Aggiornamenti dalla Terra di Albione: tre settimane in lockdown

Due settimane fa avevo scritto su queste pagine un breve resoconto sulla vita in Inghilterra ai tempi del coronavirus. Ho continuato a raccogliere qualche dato sulla pandemia e a fare, inevitabilmente, il confronto tra questo Paese e la Madrepatria.

Come i miei lettori (bontà loro) ricorderanno, nel Regno Unito le indicazioni governative non erano così severe come in Italia. Circa una settimana fa il Governo ha annunciato che il “lockdown” sarebbe proseguito per altre tre settimane almeno. Solite raccomandazioni sul mantenere il “social distancing”, uscite pure ma non più di una volta al giorno e solo per andare a fare la spesa o fare attività fisica anche lontano da casa. Se proprio dovete lavorare, fate in modo di farlo da casa. E in effetti qui a Woking, grosso centro urbano a una ventina di minuti di treno da Londra (Waterloo Station), le differenze si sono notate immediatamente. Vivendo praticamente alla periferia di una delle città più grandi e densamente popolate del pianeta, non era pensabile vedere il crollo del 90% dei passeggeri sulle linee di trasporto pubblico come è avvenuto altrove. Ma sicuramente il traffico veicolare privato si è quasi azzerato. In compenso un gran numero di persone ha iniziato a fare sport: molti uomini e donne decisamente in sovrappeso arrancano a piedi o in bicicletta approfittando anche delle incredibilmente belle giornate, non proprio frequenti da queste parti.

Torniamo al tema di questo scritto, la pandemia di COVID-19 e le misure intraprese dal Governo per affrontarla. Ho già citato l’idea preliminare dell’immunità di gregge e le critiche che questa ipotesi aveva attirato su Boris Johnson e il suo staff. Si potrebbe aprire una discussione sui numeri ufficiali che riguardano i contagi e di come, e oramai è dimostrato da numerosi articoli, questi siano sottostimati rispetto alla realtà: a fronte di circa 180mila contagi ufficiali, alcune stime arrivano anche a 5-6 milioni di contagi reali. E’ di un paio di giorni fa il report sull’esperimento condotto a Vo’ Euganeo, l’unico paese in Italia dove l’intera popolazione è stata testata per la presenza del SARS CoV-2: un cittadino su due mostra chiari segni di infezione anche se non ha manifestato alcun sintomo. In sostanza, ci sono molti più infetti in Italia, e probabilmente nel mondo, di quanti ne riusciamo ad immaginare.
Come avevo scritto in precedenza, ho continuato a raccogliere informazioni solo sul numero dei decessi e dei ricoveri in terapia intensiva. I grafici che mostro sono aggiornati al 20 aprile, per quanto riguarda i decessi, e al 15 aprile per quanto riguarda i ricoveri in terapia intensiva. Le curve relative alla situazione italiana sono traslate in avanti di 14 giorni.

L’andamento delle curve che mostrano il numero di decessi continua ad essere sorprendentemente molto simile. Vale la pena ricordare che i decessi a cui si riferiscono entrambe le curve sono solo quelli avvenuti in ospedale, sia in Italia che nel Regno Unito.

Andamento dei decessi in Italia e Regno Unito. La curva relativa all’Italia è traslata in avanti di 14 giorni.

Se si osservano i grafici relativi al numero di decessi giornalieri, anche qui si nota una forte similitudine, anche se al momento quello italiano mostra un singolo picco, mentre quello del Regno Unito ne mostra due: si sono registrati 780-890 decessi al giorno per quasi tutta la settimana scorsa.

Grafico di confronto tra i decessi giornalieri registrati in Italia e nel Regno Unito.
Grafico di confronto tra i decessi giornalieri registrati in Italia e nel Regno Unito: dettaglio del doppio picco UK

Osservando questi due grafici viene da farsi qualche domanda, ma lasciamo le considerazioni alla parte finale di questo articoletto.

La figura seguente mostra il confronto della situazione dei ricoveri in terapia intensiva. Nel Regno Unito sono stati allestiti in poche settimane due ospedali COVID-19 a Londra e Manchester: il primo può ospitare 500 pazienti, il secondo 1000. Al momento in cui scrivo sono entrambi vuoti (per fortuna).

Istogramma dell’andamento dei ricoverati in terapia intensiva. L’asse delle date si riferisce alla situazione UK; l’istogramma italiano è traslato di 14 giorni.

Seguendo lo stesso criterio delle due settimane di traslazione, il picco dei ricoveri in questo caso non corrisponde. Nel grafico ho lasciato le date che si riferiscono all’istogramma UK.

Come si può vedere, i ricoveri in terapia intensiva nel Regno Unito sono meno di quelli italiani. L’istogramma italiano è più simmetrico, con il picco, grosso modo, centrale. Quello del Regno Unito è più spostato a destra. Ciò dimostrerebbe che all’inizio dell’epidemia c’è stata più gradualità nel ricoverare in terapia intensiva e subito dopo aver raggiunto il picco, il numero di pazienti dimessi è stato relativamente alto giorno dopo giorno. Per quale motivo in Italia così tanti ricoveri? Oppure, per quale motivo in UK così pochi ricoveri? Sono considerazioni da indagini epidemiologiche che, ovviamente, non sono in grado nemmeno di accennare.

In Italia sono ormai quaranta giorni e più che la gente rimane chiusa in casa. Questo sta avendo, inevitabilmente, ripercussioni sullo stato mentale di molte persone. Ragazzi abituati ad una vita frenetica tra scuola, sport e amicizie sono bloccati in casa e cominciano, giustamente a mio parere, a chiedersi il senso di tutto questo. Ne vale la pena? Sta funzionando? Per quanto tempo ancora andremo avanti così? Sono questi gli interrogativi che mi pongono le mie figlie adolescenti, e non solo. In queste settimane assistiamo, nostro malgrado, a uno tsunami di pareri di esperti. C’è chi dice “Tuttapposto” e chi dice “La fine del mondo è oramai vicina”. Premi Nobel che gridano al complotto e virologi che sostengono, almeno all’inizio, che in Italia il virus non c’è. La verità è che quasi nessuno ci ha capito niente e chi lo ha fatto non va a dirlo in una trasmissione di Barbaradurso (tutto attaccato) o Ricciolo Giletti (staccato). Le persone serie lavorano, non perdono tempo. Nemmeno a scrivere sul blog.

Io posso solo descrivere la mia esperienza personale, e questa mi fa pensare che i provvedimenti di Dracone andavano presi prima, anziché perdere tempo a calcolare, in denaro, quanto ci sarebbe costato chiudere tutto. E’ probabile che se il lockdown fosse iniziato due settimane prima, sia in Italia che nel Regno Unito, saremmo stati fermi di meno. Ma alla luce del confronto tra un Paese che tiene i suoi cittadini ai domiciliari e uno che invece “confido in voi e nel vostro buon senso”, mi chiedo se valga ancora la pena costringere tutti a stare tappati in casa. Mi chiedo se dopo 40 giorni sia ancora necessario raccomandare alle persone di stare a due metri dagli altri e evitare assembramenti. Io credo che lo hanno capito un po’ tutti. Citando Totò, non credo che gli inglesi siano “cittadini più ligi alle leggi” degli italiani. E mi chiedo come mai, con differenze così sostanziali nell’affrontare l’epidemia, le conseguenze sui decessi e i ricoveri sono praticamente le stesse? In altre parole, se in Inghilterra quasi tutti vanno in giro rispettando le norme sul distanziamento sociale, così come accade in Germania e, clamorosamente, in Svezia, possibile che in Italia, dopo sei settimane, non si possa fare lo stesso? Prima ancora di pianificare la sacrosanta riapertura delle attività produttive, bisognerebbe pianificare da subito le norme per far uscire la gente di casa. Questo ha la priorità su tutto. Se all’inizio le restrizioni sono state imposte per salvaguardare la salute dei cittadini, e non c’è dubbio che hanno funzionato, adesso è arrivato il momento di rendere queste restrizioni più soft. La salute dei cittadini rimane la preoccupazione principale, ma se si continua a tenere tutti prigionieri le conseguenze potrebbero essere più gravi dell’infezione dal virus. E se qualcuno corre per strada, da solo, in un luogo isolato, è ridicolo nonché infantile pubblicare il video dal titolo “Noi restiamo a casa e loro si preparano alle Olimpiadi”. Bisognerebbe disintossicarsi dai programmi televisivi, Facebook, articoli giornalistici, grafici, numeri e statistiche.

E anche dai blog.

Tamponi e geofisica: vita in Inghilterra ai tempi del coronavirus.

L’Inghilterra, Paese in cui vivo da alcuni anni, ha reagito in maniera apparentemente diversa dall’Italia all’emergenza COVID-19, che oramai interessa più di 200 paesi in tutto il mondo. Critiche sono arrivate da tutte le parti innanzitutto sull’indecisione a prendere provvedimenti draconiani e anche quando si paventava l’ipotesi della cosiddetta “immunità di gregge” nel primo discorso del Premier Boris Johnson dall’inizio della pandemia. Ironia del destino, al momento in cui scrivo lo stesso Johnson è ricoverato in terapia intensiva dopo essere stato infetto dal virus.

Il Lockdown è iniziato ufficialmente il 24 marzo, esattamente due settimane fa, e all’infinito numero di grafici, statistiche, numeri e articoli pubblicati sull’argomento coronavirus in Italia, il Regno Unito contrappone un’informazione essenziale, basata esclusivamente sull’aggiornamento quotidiano da parte dell’NHS (National Health Service) sui nuovi contagi e i decessi. Aggiornamenti meno frequenti vengono pubblicati sui ricoveri in terapia intensiva. Alle 9 del mattino del 7 aprile, un totale di 266.694 test era stato effettuato su 213.381 persone (alcuni sono stati testati più di una volta), con un numero di positivi pari a 55.242 (il 25.9% delle persone a cui è stato fatto il test è risultato positivo al COVID-19).
Ho provato a confrontare l’andamento dell’epidemia in Italia e nel Regno Unito, più che altro per capire se l’evoluzione è la stessa partendo dal presupposto che la popolazione dei due Paesi è simile: circa 67 milioni di abitanti in UK e circa 61 in Italia. Poichè è oramai assodato che i numeri ufficiali, specialmente quelli relativi ai contagiati, sono ampiamente sottostimati, ho spostato la mia ricerca sul numero di persone ricoverate in terapia intensiva e sui decessi. Al 3 aprile, il numero totale di ricoveri in “Intensive care” era di 2249 unità, di cui 344 erano stati dimessi mentre 346 erano i decessi registrati. Il grafico mostra i dati descritti. La forma delle curve sembra essere promettente ma ovviamente è troppo presto per avere un’idea precisa su cosa avverrà in futuro.

Ricoverati e dimessi dalla terapia intensiva nel Regno Unito

E’ chiaro che l’epidemia non è partita nello stesso giorno in tutti e due i Paesi. Come fare per confrontare le due evoluzioni? Considerando il numero dei decessi, ho messo in un grafico la curva dell’evoluzione di questo dato a partire dal giorno in cui, in entrambi i Paesi, si sono raggiunte circa 100 unità (104 per il Regno Unito e 107 per l’Italia). Il grafico che viene fuori mostra un andamento pressoché identico. Da notare che per trovare il momento in cui in entrambi i Paesi si sono registrati circa 100 decessi, è necessario spostare in avanti la curva italiana di 14 giorni: in altre parole, se si guarda alla curva dei decessi, nel Regno Unito sono esattamente due settimane indietro rispetto all’Italia e la situazione sembra essere leggermente migliore. La curva in violetto indica la differenza tra i decessi registrati nei due paesi.

Grafico del numero di decessi da/con coronavirus in Italia e nel Regno Unito

Seguendo lo stesso criterio, ho provato a confrontare il numero dei ricoverati in terapia intensiva nei due Paesi e il grafico che ne viene fuori ha una peculiarità: sebbene i valori mostrati siano sostanzialmente diversi, l’andamento è praticamente lo stesso.

Un altro grafico interessante per la situazione in UK è quello degli incrementi percentuali, sia giornalieri che cumulativi: considerando il numero di decessi registrati oggi, di quanto, in termini percentuali, differisce quello del giorno dopo? In altre parole, se oggi registro 100 e domani 120, ho un incremento del 20%, mentre se registro 80 ho un decremento del 20%. Quando questa curva raggiunge lo 0, vuol dire che il numero di decessi registrati non è cambiato. Ovviamente si spera di raggiungere (e di restarci) lo 0% per il valore cumulativo in tempi rapidi.

Come si può vedere, l’andamento è ancora piuttosto altalenante soprattutto per i valori giornalieri, mentre quello cumulativo sembra lentamente avvicinarsi allo 0. E’ evidente l’ultimo picco positivo registrato il 7 aprile dopo 3 giorni consecutivi di decremento.

Il lockdown nel Regno Unito è tutt’altro che severo. Ci è consentito uscire una volta al giorno per andare a fare la spesa, andare in farmacia, fare esercizio fisico eccetera. La stragrande maggioranza dei negozi è chiusa come in Italia e la radio e la televisione fanno continuamente appello al senso civico raccomandando di mantenere una distanza di almeno 2 metri dalle altre persone quando si esce di casa. Cinema e teatri erano già chiusi prima del 23 marzo. Non c’è, al momento, alcuna indicazione relativa all’uso di mascherine e altri dispositivi di protezione. Nel supermercato dove abitualmente mi reco per fare la spesa si entra a scaglioni dopo essere stati diligentemente in fila (anche a 4 o 5 metri di distanza l’uno dall’altro), qualcuno ha la mascherina, qualcuno ha i guanti, qualcuno ancora ha entrambi. La raccomandazione più frequente rimane “Stay at home, save our NHS, save lives”, ossia “Rimani a casa, proteggi il nostro Servizio Sanitario, salva delle vite”.

Anche nel Regno Unito una tematica molto sentita è quella del monitoraggio a tappeto della popolazione. Il Governo ha già avviato una ricerca per individuare il kit per i test rapidi da utilizzare, promettendo di testare 100mila persone al giorno entro la fine di aprile. Purtroppo, dei 9 kit analizzati finora, nessuno è stato ritenuto affidabile. Non si capisce come mai un kit ritenuto affidabile dalla Germania o dal Giappone o dalla stessa Cina non venga adottato anche dagli altri Paesi del mondo e sfortunatamente le indicazioni dell’Organizzazione Mondiale per la Sanità non sono per niente d’aiuto: dichiarano testualmente “Cercatelo voi e scegliete quello che ritenete migliore”.

Vale la pena ricordare che non ci sono test affidabili al 100%. I tamponi naso-faringei determinano la presenza o l’assenza del virus mentre i kit rapidi servono solo ad individuare la presenza degli anticorpi nell’organismo. Poichè lo sviluppo degli anticorpi inizia non prima di 4 – 5 giorni dal momento dell’infezione, se il risultato dovesse essere negativo, non escluderebbe la presenza del virus nell’organismo, mentre un risultato positivo va sempre convalidato da un tampone. Si tratta, ovviamente, di un formidabile mezzo di scrematura, a patto che il kit sia affidabile, e sopratutto serve a determinare la presenza di anticorpi può rivelarsi utile in uno step successivo quando si faranno le indagini epidemiologiche sulla circolazione virale. In Italia siamo a buon punto: di 120 kit analizzati, uno è stato finalmente individuato ed entro la fine di aprile dovrebbe essere sul mercato in tutto il territorio nazionale ad un prezzo estremamente vantaggioso.

La situazione in Italia va lentamente migliorando, probabilmente ci vorranno ancora 3 o 4 settimane ancora prima che si inizi lentamente a tornare alla normalità. Qui in Inghilterra siamo invece in una condizione curiosa: il numero di decessi e di ricoverati in terapia intensiva è più basso di quelli italiani, eppure l’evoluzione sembra seguire passo passo quella italiana con due settimane di ritardo. Molte aziende hanno temporaneamente chiuso i battenti e il Governo ha avviato, praticamente da subito, uno straordinario programma di sostegno sia per i dipendenti che per i liberi professionisti. Un imponente sforzo finanziario che consentirà ai cosiddetti “Furloughed Workers” di ricevere l’80% dello stipendio (fino ad un massimo di £ 2500 al mese per tre mesi eventualmente rinnovabili) a patto di non lavorare per l’azienda che ha aderito al programma e, purtroppo, di non lasciare il suolo britannico durante questo periodo. Trovandomi io stesso in questa situazione, quasi certamente fino a metà maggio, avrò tempo per leggere, studiare, fare moto, aggiornare il mio blog, fare videochiamate, partecipare a seminari on line, aggiornare il mio curriculum, perdere un sacco di tempo su Facebook… Speriamo si torni presto al lavoro!

Ringrazio la prof. Francesca Paino, Dipartimento di Scienze Biomediche, Chirurgiche ed Odontoiatriche dell’Università degli studi di Milano, per le conversazioni sui meccanismi di funzionamento dei test di identificazione dei virus.

Vulcani campani e incubi notturni

Un rapporto redatto da ricercatori dell’INGV e CNR era stato consegnato alla Protezione Civile alla fine del 2012. Cosa c’era scritto in quel documento? Non era dato sapere, finora, perché era classificato come “confidenziale”. Tuttavia, essendo i sei autori tra i massimi esperti dei vulcani campani, non è difficile immaginare di cosa trattasse.

Il Corriere della Sera del 1 Novembre ha pubblicato un articolo nel quale ne descrive il contenuto, parte del quale era trapelato negli anni. Si legge che il Gruppo di Lavoro aveva cominciato a lavorare a questo report nel 2009 e che i ricercatori si erano incontrati 21 volte per definirne i contenuti. Al paragrafo 3 si legge:

Il GdL ritiene doveroso chiarire fin dall’inizio del presente rapporto che per la natura del sistema vulcanico, il suo stato attuale, e i livelli di urbanizzazione dell’area, il problema di rischio vulcanico posto dal sistema dei Campi Flegrei rappresenta senza alcun dubbio uno dei maggiori, se non il maggiore, a scala mondiale. Non esiste infatti altrove una situazione confrontabile, per la concomitanza tra un sistema vulcanico in grado di produrre eruzioni esplosive anche di grandi dimensioni, le incertezze legate alla natura del sistema vulcanico e all’individuazione di segnali precursori, il livello di urbanizzazione e la concentrazione di attività produttive nelle aree potenzialmente a rischio. Una
grande eruzione ai Campi Flegrei
, possibilità non del tutto remota, avrebbe conseguenze tali da distruggere profondamente il tessuto infrastrutturale dell’area napoletana, probabilmente causando gravi conseguenze economiche a livello nazionale ed europeo.

L’introduzione, quindi, lascia ben poco spazio a fraintendimenti: si parla della zona a più alto rischio vulcanico dell’intero pianeta. Nel report si parla poi dell’evoluzione vulcanica dell’area, delle conoscenze acquisite nel corso degli anni grazie allo sviluppo delle tecniche di indagine geofisiche dirette e indirette, delle crisi bradisismiche degli anni ’70 e ’80, del sistema di monitoraggio (parametri chimici, geodetici e sismici), dell’attività sismica recente. Al paragrafo 6 si legge:

Per la gestione di una futura crisi vulcanica è necessario riconoscere prontamente i segnali anomali e relazionarli ai processi fisici in corso, nonché fornire rapide risposte a possibili eventi inattesi. A fronte di queste necessità, ciò che si ha a disposizione è: i) una conoscenza ampia ma incompleta delle fenomenologie vulcaniche, in special modo di quelle profonde relative alle fasi pre-eruttive; ii) una notevole varietà di interpretazioni delle fenomenologie osservate, in particolar modo in relazione al coinvolgimento o meno di magma come causa diretta di tali fenomenologie; iii) nessun dato di monitoraggio strumentale relativo a fasi pre-eruttive ai Campi Flegrei.

Ne deriva che la valutazione dei fenomeni osservati nell’ottica di una possibile futura eruzione ai Campi Flegrei è necessariamente soggetta a significativa incertezza. Tale incertezza è ulteriormente accresciuta dal fatto stesso che i Campi Flegrei sono un sistema calderico. E’ noto infatti che la valutazione delle fenomenologie osservate in sistemi calderici può essere assai più complessa che per i vulcani centrali

I ricercatori ammettono, in sostanza, che lo scenario è talmente complesso da renderne pressoché impossibile una descrizione esaustiva.

Il GdL era stato creato per rispondere a una domanda fondamentale per la Protezione Civile: quale è lo scenario eruttivo più probabile? In altre parole, che tipo di eruzione ci dobbiamo aspettare dai Campi Flegrei? Si badi bene, non veniva chiesto di prevedere l’eruzione, ma di descrivere quella che potrebbe avvenire, in maniera tale da organizzare la macchina dei soccorsi prima ancora dell’emergenza. Quindi, per esempio, in quale punto avverrà l’eruzione? Di quanta energia rilasciata stiamo parlando? Quale sarà l’intensità dei terremoti che precederanno l’eruzione? Al paragrafo 7 si legge:

L’area a massima probabilità eruttiva è localizzata grossomodo nella zona di Astroni-Agnano, mentre la seconda area per valori di probabilità è localizzata in corrispondenza di Averno – Monte Nuovo. Si può quindi concludere che l’insieme delle conoscenze oggi disponibili è concorde nell’individuare tali due aree come quelle caratterizzate dalla più elevata probabilità di apertura di future bocche eruttive, con l’area a est (Astroni-Agnano) caratterizzata da maggiori valori di probabilità.

Nel prosieguo si fa riferimento alla “scala eruttiva” ossia all’intensità dell’evento vulcanico e ai fenomeni attesi. Si citano le eruzioni “freatiche” particolarmente esplosive a causa dell’interazione dell’acqua con il magma. Si parla di maremoti, di aree di interesse che vanno ben al di là dell’area flegrea propriamente detta, del Vomero e di Fuorigrotta completamente distrutte eccetera.

Vale la pena sottolineare che questo rapporto confidenziale non dice, sostanzialmente, nulla di nuovo né ai ricercatori né a quella parte di popolazione interessata alla tematica. Si circoscrive l’area dove avverrà più probabilmente l’eruzione e se ne descrivono gli effetti. E’ uno studio redatto in funzione dell’uso che ne farà la Protezione Civile per cui si prova ad andare al cuore del problema, senza dilungarsi in dissertazioni squisitamente scientifiche. Il quadro che ne viene fuori è molto cupo. Lo scenario è davvero apocalittico e non lascia dubbi sul fatto che un’eruzione ai Campi Flegrei sarà un evento catastrofico che avrà ripercussioni, probabilmente, a scala mondiale. L’area direttamente o indirettamente interessata potrebbe essere di svariate decine di km quadrati. Il documento dice, senza mezzi termini, che non è possibile, allo stato attuale, prevedere quanto lungo sarà il periodo che andrà tra i primi segnali precursori e l’evento vulcanico vero e proprio. In altre parole, dal momento in cui, per esempio, l’attività sismica si dovesse intensificare fino all’eruzione vera e propria, potrebbero trascorrere giorni, settimane, mesi o anni. O potrebbe non accadere proprio nulla. I segnali precursori potrebbero dire tutto e niente. Uno studio recente pubblicato da, tra gli altri, Giuseppe De Natale, quantifica in 30 miliardi di euro il danno economico provocato dall’evacuare la popolazione dei Campi Flegrei per un anno. Se consideriamo che le crisi bradisismiche degli anni ’70 e ’80, per esempio, non hanno avuto come conseguenza finale alcuna eruzione, ne consegue che chi di dovere ci penserà a lungo prima di autorizzare un esodo di massa. Casi di “falsi allarmi”, del resto, sono avvenuti in molte aree vulcaniche nel mondo, come riportato dallo stesso documento.

Le infrastrutture della Campania sono inadeguate ad assorbire il traffico di tutti i giorni: cosa succederà con il caos dell’evacuazione? I porti sono talmente vicini all’area vulcanica che il sollevamento del fondo li renderà inutilizzabili. Le stazioni ferroviarie e l’aeroporto di Capodichino forse saranno utilizzabili. Insomma, terremoti, eruzioni, maremoti tutti assieme in un’area relativamente piccola ma in cui abitano centinaia di migliaia di persone.

Tra al massimo una settimana di tutto questo non si parlerà più. Ci avviciniamo al Natale e i temi di discussione saranno ben altri. Tuttavia l’articolo pubblicato dal Corriere della Sera pone, a mio avviso, un altro interrogativo: come mai la popolazione sembra rendersi conto di vivere nell’area più pericolosa del mondo da un punto di vista dei rischi naturali e tuttavia non riesce ad allontanarsene? Il quadro descritto dal rapporto è estremamente esaustivo nonchè agghiacciante. I Campi Flegrei sono letteralmente una bomba ad orologeria ma nessuno sa quanto tempo manca all’ora zero. Quindi, quanto tempo è necessario ad evacuare le persone? Quante sono le persone da evacuare? In quale area? Come andranno via? Nei giorni scorsi si è tenuta un’importante esercitazione per simulare l’evacuazione. Conoscendo l’animo dei campani, si può essere ragionevolmente sicuri che si comporteranno in modo disciplinato come in un’esercitazione? Io credo che prima di concentrarsi sugli effetti dell’eruzione, che saranno quasi certamente devastanti, bisognerebbe ragionare sui tempi necessari all’evacuazione e capire se un’eruzione possa essere prevista con un preavviso maggiore o uguale a questi tempi. Dallo studio sembrerebbe che non sia possibile fare una stima in questo senso, per cui c’è veramente da essere preoccupati e non poco. Sia chiaro, non esiste al momento alcun segnale che faccia pensare ad una ripresa dell’attività vulcanica. Che fare? Aspettare e sperare? O prendere una decisione drastica e andar via prima che sia troppo tardi? Questo documento dovrebbe essere un monito non solo per chi abita tra Fuorigrotta e Torregaveta, ma anche per le persone che abitano nel Vesuviano o a Ischia. Parafrasando Roger Waters (“Se non sei arrabbiato, sei distratto”), solo chi ha preso coscienza del pericolo è seriamente preoccupato. Gli altri scelgono di non pensarci o di affidarsi a qualche santo.

Microzonazione sismica e dintorni

Lo scorso 6 agosto sono stati presentati a Ischia gli studi di microzonazione sismica di terzo livello (il massimo grado di accuratezza raggiungibile) condotti nei comuni di Forio, Lacco Ameno e Casamicciola Terme, sull’isola d’Ischia. Uno studio di primo livello, il più basso, consiste in una pura ricerca bibliografica nella quale si elencano una serie di dati storici sugli effetti di un terremoto, cercandi di andare il più indietro possibile nel tempo. I tre comuni in questione erano stati interessati, in maniera più o meno grave, da danni provocati dal terremoto del 21 agosto 2017. Durante la presentazione è stato più volte sottolineato che i risultati ottenuti da questi studi multidisciplinari non sono comprensibili al pubblico. In altre parole, soltanto gli addetti ai lavori hanno gli strumenti per comprendere le mappe, i grafici, i numeri e quant’altro è stato prodotto e descritto nelle tre relazioni, una per ogni comune. Ma cos’è la microzonazione sismica?

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Geotermia: il treno passa una volta sola

La centrale geotermica progettata a Serrara Fontana, sull’isola d’Ischia, non si farà. Con il Decreto Ministeriale 308 dell’11 Novembre, il Ministero dell’Ambiente e il Ministero per i Beni e le Attività Culturali hanno decretato il giudizio negativo di compatibilità ambientale per l’impianto. Tecnicamente la società proponente ha tempo fino al prossimo 10 gennaio per presentare ricorso al TAR avverso tale DM. Ma è facile immaginare che non vi sarà alcun ricorso. Chi legge questo blog, bontà sua, sa bene quale è la mia opinione sul progetto. Sull’argomento se ne sono dette tante, pure troppe a mio parere. Atti d’accusa, invocazione di cataclismi apocalittici, timori di inquinamento delle falde e via discorrendo. Io resto convinto, invece, che l’isola d’Ischia abbia perso una straordinaria occasione di rilancio.

Che Ischia fosse un’ottima posizione per un impianto di sfruttamento dell’energia geotermica lo si era capito già negli anni ’40 del secolo scorso. La guerra e la maggior convenienza, per pochi, nello sfruttamento delle risorse fossili avevano ostacolato lo sviluppo delle tecnologie nelle quali gli italiani erano i primi al mondo. La prima centrale a ciclo binario fu installata a Citara e funzionò dal 1942 al 1943. Dopo la seconda guerra mondiale, sempre a Citara, fu installata la prima centralina “flash” che funzionò dal 1952 al 1954. La nazionalizzazione delle industrie elettriche private interruppe definitivamente lo sviluppo tecnologico iniziato dalla SAFEN e proseguito dalla SARUFEN.

I motivi che hanno spinto alla nascita di un generale malessere nei confronti del progetto sono molti. Innanzitutto la consapevolezza di un patrimonio edilizio vetusto e inadeguato alle sollecitazioni sismiche. Subordinatamente il timore che il funzionamento della centrale potesse in qualche modo depauperare le falde “termali”. Come è noto l’acqua calda nel sottosuolo ischitano è una risorsa facilmente reperibile, con perforazioni neanche troppo profonde. Ciò che non è altrettanto nota è la composizione chimica di queste acque prodigiose, ma su questo argomento scriverò a parte. Aggiungiamo i pareri cosiddetti “autorevoli” di esperte primedonne che in realtà sull’argomento geotermia non avevano e non hanno alcuna conoscenza, ma che hanno saputo raccogliere i malumori della gente che in fondo voleva soltanto essere informata e non spaventata.

Secondo uno studio del MIT il solo sfruttamento dell’energia geotermica a livello planetario coprirebbe il fabbisogno dell’intero pianeta per 4000 anni. Un argomento alquanto interessante di questi tempi, quando si continua a invocare a gran voce una strategia di riduzione delle emissioni di CO2 nell’atmosfera, la cui presenza, secondo molti scienziati, contribuisce all’effetto serra e ai cataclismi meteorologici che accadono sempre più spesso anche nell’area mediterranea. In realtà l’impianto che sarebbe sorto a Ischia non era l’unico ad essere oggetto di perplessità. Praticamente tutti i progetti presentati assieme a questo sono stati attaccati a 360°. Le accuse sono state le più assurde: dall’innesco di terremoti disastrosi all’inquinamento passando per un aumento di tumori, come se il vapore acqueo potesse portare chissà quale malattia. E pensare che da piccoli i nostri genitori ci facevano fare i suffumigi.

A mio modo di vedere la centrale sarebbe stata una grande opportunità per l’isola: avrebbe generato qualche posto di lavoro durante la costruzione e dopo; avrebbe regalato un impianto di teleriscaldamento agli abitanti di Serrara Fontana; avrebbe diminuito l’immissione di CO2 nell’atmosfera, anche se di una quantità infinitesimale, ma da qualche parte bisogna pur cominciare; e infine avrebbe potuto fornire una serie impressionante di dati su cui studiare per cercare di comprendere meglio la struttura e la dinamica dell’isola. Dopo il terremoto del 21 agosto 2017 qualcuno ha affermato, giustamente, che non abbiamo le idee molto chiare su come funzionano i terremoti in area vulcanica. Qualcun altro ha proposto di mettere su un centro di ricerca che studiasse esclusivamente i terremoti sotto l'(ex) abitato de Majo. La verità è che le misure indirette, per quanto corrette possano essere, non potranno mai sostituire una conoscenza diretta del sottosuolo e questa la si ottiene in un modo soltanto: scavando. Progetti come la perforazione profonda ai Campi Flegrei, anche questo bloccato da una schiera di catastrofisti, sono l’unico mezzo che abbiamo per conoscere cosa abbiamo sotto i piedi e comprenderne il funzionamento. Sempre ai Campi Flegrei, quando alla fine della campagna denigratoria è stato possibile scavare solo fino a 500 metri di profondità invece che a 3500, sono state fatte delle scoperte talmente importanti che quasi tutti i punti fermi sulla storia geologica del sistema vulcanico sono tornati ad essere oggetto di discussione: quei punti fermi, in sostanza, non lo erano più. E adesso che anche il Sindaco di Napoli ha dato il suo benestare (la perforazione andrebbe proseguita all’interno dell’ex ILVA di Bagnoli), i soldi non ci sono più: il progetto è bello, si può fare, i soldi ce li avevate ma avete lasciato passare troppo tempo, ci dispiace tornate un altro giorno. Un altro treno che non prenderemo più.

Tra qualche anno, ne sono certo, si tornerà a parlare di geotermia con la consapevolezza che non si potrà più procrastinarne lo sviluppo tecnologico. Ma noi avremo già perso molto tempo. Eravamo pionieri della geotermia meno di cento anni fa, ci toccherà rincorrere chi sarà più avanti di noi e ad un prezzo che al momento non è difficile quantificare come molto, molto elevato. E tutto questo lascia l’amaro in bocca.

Alcune riflessioni sull’evento sismico di Casamicciola del 21 agosto 2017

A Ischia c’è stato un terremoto anomalo, o per lo meno così è stato definito principalmente da chi non conosce la sismologia, la sismica e la storia geologica dell’isola. A seguito dell’evento principale c’è stata una replica avvertita dalla popolazione locale e poi altre scosse registrate soltanto dagli strumenti. Purtroppo la scossa del 21 agosto ha provocato moltissimi danni in una zona concentrata attorno a Piazza Majo, nella parte alta del comune di Casamicciola Terme. Alcuni fabbricati sono crollati e sfortunatamente due donne hanno perso la vita. Attualmente ci sono circa 2mila persone che hanno dovuto trovare un’altra sistemazione, poichè la casa dove vivevano è stata gravemente danneggiata. Diverse attività commerciali e anche alcune strutture ricettive hanno dovuto interrompere le loro attività, con un enorme danno economico anche in termini di posti di lavoro perduti.  Continua a leggere “Alcune riflessioni sull’evento sismico di Casamicciola del 21 agosto 2017”

Il terremoto di Casamicciola del 21 agosto 2017

Lunedi scorso, erano le 9 di sera, in tutta l’isola d’Ischia si è sentito un boato. C’è un sacco di gente a Ischia in questo periodo e a quell’ora molti erano a cena, e in alcune aree la cosa è passata quasi inosservata. “Ci eravamo sedute nella sala interna della pizzeria (al centro di Forio) quando la sedia ha cominciato a muoversi ed ho capito subito che c’era un terremoto. Io e la mia amica siamo uscite senza farci prendere dal panico, come mi hai sempre raccomandato di fare tu, e quando siamo arrivate fuori la terra ha smesso di tremare”. E’ una testimonianza attendibile questa, raccolta da me personalmente: è della maggiore delle mie due figlie. Da questa e da altre che ho raccolto, ho stimato che la durata dello scuotimento dovuto alla scossa, almeno a Forio, è stata inferiore a 10 secondi, probabilmente tra 6 e 8. Continua a leggere “Il terremoto di Casamicciola del 21 agosto 2017”

Eruzioni? Terremoti? Penzamm’ ‘a salute!

La recentissima pubblicazione di un paio di articoli scientifici sull’imminente (?) eruzione dei Campi Flegrei, che provocherebbe un’immane sciagura a causa dell’enorme numero di persone che ne verrebbero direttamente interessate, ha generato un dibattito che, talvolta, ha ben poco di scientifico. Continua a leggere “Eruzioni? Terremoti? Penzamm’ ‘a salute!”

Il Movimento 5 Stelle, la Brexit e gli “esperti” della cosa pubblica

Io ero un pentastellato della prima ora, poi mi sono “dissociato” da quel progetto perchè non ci ho più creduto. Sono tuttavia ancora convinto che molte cose buone ci siano ancora in quel progetto, ma oramai ho poco tempo e poca voglia per dedicarmici. Eppure rimango davvero amareggiato ogni volta che leggo i commenti che, sempre più spesso, sono tesi ad attaccare il Movimento 5 Stelle. Continua a leggere “Il Movimento 5 Stelle, la Brexit e gli “esperti” della cosa pubblica”

I terremoti avvengono solo di notte

Il 28 dicembre 1908, alle 5:20 del mattino più di 82mila persone muoiono a seguito di un sisma di magnitudo 7.2 che riduce in macerie Messina e danneggia Reggio Calabria. Il 23 luglio 1930, all’1:30 un terremoto di magnitudo 6.5 colpisce la zona tra l’Irpinia e il Vulture, uccidendo circa 1.400 persone. La scossa più forte del terremoto del Belice colpì la Sicilia Orientale nella notte tra il 14 e il 15 gennaio 1968. Il 6 maggio 1976 alle 21 un sisma di magnitudo 6.5 scuote il Friuli causando 976 vittime e lasciando 70mila persone senza casa. Alle 19:30 del 23 novembre 1980 un terremoto di magnitudo 6.5 colpisce l’Irpinia provocando 2.735 morti e 7.500 feriti. 13 dicembre 1990. Il Terremoto di Carlentini, noto anche come il sisma di Santa Lucia, all’1:24 interessa un’ampia parte della Sicilia sud orientale. Di magnitudo 5.7 uccide 13 persone e ne ferisce 200 nella provincia di Siracusa. Nella notte del 26 settembre 1997 la scossa più forte dello sciame sismico che colpì Umbria e Marche provoca 11 vittime e gravi danni alla Basilica di San Francesco ad Assisi. Il 6 aprile 2009 un terremoto colpisce l’Abruzzo e in particolare L’Aquila. La scossa più forte del sisma, di magnitudo 6.3, avviene di notte, alle 3.32, cogliendo di sorpresa i cittadini. 29 maggio 2012. Sedici morti e 350 feriti nella zona di Modena, in Emilia: questo il bilancio del Terremoto di magnitudo 5.9 con una scossa di una durata di 18 secondi. Già nove giorni prima, il 20 maggio, nella notte una scossa di magnitudo 5.9 aveva ucciso 7 persone nella stessa zona. Continua a leggere “I terremoti avvengono solo di notte”