Due settimane fa avevo scritto su queste pagine un breve resoconto sulla vita in Inghilterra ai tempi del coronavirus. Ho continuato a raccogliere qualche dato sulla pandemia e a fare, inevitabilmente, il confronto tra questo Paese e la Madrepatria.
Come i miei lettori (bontà loro) ricorderanno, nel Regno Unito le indicazioni governative non erano così severe come in Italia. Circa una settimana fa il Governo ha annunciato che il “lockdown” sarebbe proseguito per altre tre settimane almeno. Solite raccomandazioni sul mantenere il “social distancing”, uscite pure ma non più di una volta al giorno e solo per andare a fare la spesa o fare attività fisica anche lontano da casa. Se proprio dovete lavorare, fate in modo di farlo da casa. E in effetti qui a Woking, grosso centro urbano a una ventina di minuti di treno da Londra (Waterloo Station), le differenze si sono notate immediatamente. Vivendo praticamente alla periferia di una delle città più grandi e densamente popolate del pianeta, non era pensabile vedere il crollo del 90% dei passeggeri sulle linee di trasporto pubblico come è avvenuto altrove. Ma sicuramente il traffico veicolare privato si è quasi azzerato. In compenso un gran numero di persone ha iniziato a fare sport: molti uomini e donne decisamente in sovrappeso arrancano a piedi o in bicicletta approfittando anche delle incredibilmente belle giornate, non proprio frequenti da queste parti.
Torniamo al tema di questo scritto, la pandemia di COVID-19 e le misure intraprese dal Governo per affrontarla. Ho già citato l’idea preliminare dell’immunità di gregge e le critiche che questa ipotesi aveva attirato su Boris Johnson e il suo staff. Si potrebbe aprire una discussione sui numeri ufficiali che riguardano i contagi e di come, e oramai è dimostrato da numerosi articoli, questi siano sottostimati rispetto alla realtà: a fronte di circa 180mila contagi ufficiali, alcune stime arrivano anche a 5-6 milioni di contagi reali. E’ di un paio di giorni fa il report sull’esperimento condotto a Vo’ Euganeo, l’unico paese in Italia dove l’intera popolazione è stata testata per la presenza del SARS CoV-2: un cittadino su due mostra chiari segni di infezione anche se non ha manifestato alcun sintomo. In sostanza, ci sono molti più infetti in Italia, e probabilmente nel mondo, di quanti ne riusciamo ad immaginare.
Come avevo scritto in precedenza, ho continuato a raccogliere informazioni solo sul numero dei decessi e dei ricoveri in terapia intensiva. I grafici che mostro sono aggiornati al 20 aprile, per quanto riguarda i decessi, e al 15 aprile per quanto riguarda i ricoveri in terapia intensiva. Le curve relative alla situazione italiana sono traslate in avanti di 14 giorni.
L’andamento delle curve che mostrano il numero di decessi continua ad essere sorprendentemente molto simile. Vale la pena ricordare che i decessi a cui si riferiscono entrambe le curve sono solo quelli avvenuti in ospedale, sia in Italia che nel Regno Unito.
Se si osservano i grafici relativi al numero di decessi giornalieri, anche qui si nota una forte similitudine, anche se al momento quello italiano mostra un singolo picco, mentre quello del Regno Unito ne mostra due: si sono registrati 780-890 decessi al giorno per quasi tutta la settimana scorsa.
Osservando questi due grafici viene da farsi qualche domanda, ma lasciamo le considerazioni alla parte finale di questo articoletto.
La figura seguente mostra il confronto della situazione dei ricoveri in terapia intensiva. Nel Regno Unito sono stati allestiti in poche settimane due ospedali COVID-19 a Londra e Manchester: il primo può ospitare 500 pazienti, il secondo 1000. Al momento in cui scrivo sono entrambi vuoti (per fortuna).
Seguendo lo stesso criterio delle due settimane di traslazione, il picco dei ricoveri in questo caso non corrisponde. Nel grafico ho lasciato le date che si riferiscono all’istogramma UK.
Come si può vedere, i ricoveri in terapia intensiva nel Regno Unito sono meno di quelli italiani. L’istogramma italiano è più simmetrico, con il picco, grosso modo, centrale. Quello del Regno Unito è più spostato a destra. Ciò dimostrerebbe che all’inizio dell’epidemia c’è stata più gradualità nel ricoverare in terapia intensiva e subito dopo aver raggiunto il picco, il numero di pazienti dimessi è stato relativamente alto giorno dopo giorno. Per quale motivo in Italia così tanti ricoveri? Oppure, per quale motivo in UK così pochi ricoveri? Sono considerazioni da indagini epidemiologiche che, ovviamente, non sono in grado nemmeno di accennare.
In Italia sono ormai quaranta giorni e più che la gente rimane chiusa in casa. Questo sta avendo, inevitabilmente, ripercussioni sullo stato mentale di molte persone. Ragazzi abituati ad una vita frenetica tra scuola, sport e amicizie sono bloccati in casa e cominciano, giustamente a mio parere, a chiedersi il senso di tutto questo. Ne vale la pena? Sta funzionando? Per quanto tempo ancora andremo avanti così? Sono questi gli interrogativi che mi pongono le mie figlie adolescenti, e non solo. In queste settimane assistiamo, nostro malgrado, a uno tsunami di pareri di esperti. C’è chi dice “Tuttapposto” e chi dice “La fine del mondo è oramai vicina”. Premi Nobel che gridano al complotto e virologi che sostengono, almeno all’inizio, che in Italia il virus non c’è. La verità è che quasi nessuno ci ha capito niente e chi lo ha fatto non va a dirlo in una trasmissione di Barbaradurso (tutto attaccato) o Ricciolo Giletti (staccato). Le persone serie lavorano, non perdono tempo. Nemmeno a scrivere sul blog.
Io posso solo descrivere la mia esperienza personale, e questa mi fa pensare che i provvedimenti di Dracone andavano presi prima, anziché perdere tempo a calcolare, in denaro, quanto ci sarebbe costato chiudere tutto. E’ probabile che se il lockdown fosse iniziato due settimane prima, sia in Italia che nel Regno Unito, saremmo stati fermi di meno. Ma alla luce del confronto tra un Paese che tiene i suoi cittadini ai domiciliari e uno che invece “confido in voi e nel vostro buon senso”, mi chiedo se valga ancora la pena costringere tutti a stare tappati in casa. Mi chiedo se dopo 40 giorni sia ancora necessario raccomandare alle persone di stare a due metri dagli altri e evitare assembramenti. Io credo che lo hanno capito un po’ tutti. Citando Totò, non credo che gli inglesi siano “cittadini più ligi alle leggi” degli italiani. E mi chiedo come mai, con differenze così sostanziali nell’affrontare l’epidemia, le conseguenze sui decessi e i ricoveri sono praticamente le stesse? In altre parole, se in Inghilterra quasi tutti vanno in giro rispettando le norme sul distanziamento sociale, così come accade in Germania e, clamorosamente, in Svezia, possibile che in Italia, dopo sei settimane, non si possa fare lo stesso? Prima ancora di pianificare la sacrosanta riapertura delle attività produttive, bisognerebbe pianificare da subito le norme per far uscire la gente di casa. Questo ha la priorità su tutto. Se all’inizio le restrizioni sono state imposte per salvaguardare la salute dei cittadini, e non c’è dubbio che hanno funzionato, adesso è arrivato il momento di rendere queste restrizioni più soft. La salute dei cittadini rimane la preoccupazione principale, ma se si continua a tenere tutti prigionieri le conseguenze potrebbero essere più gravi dell’infezione dal virus. E se qualcuno corre per strada, da solo, in un luogo isolato, è ridicolo nonché infantile pubblicare il video dal titolo “Noi restiamo a casa e loro si preparano alle Olimpiadi”. Bisognerebbe disintossicarsi dai programmi televisivi, Facebook, articoli giornalistici, grafici, numeri e statistiche.
E anche dai blog.